Intervista a Pablo Abreu

Pablo Abreu, centro classe 2008, è stato uno dei protagonisti delle spedizioni Azzurre sia al Torneo dell’Amicizia U15 che all’Europeo U16, tenutosi a Skopje quest’estate. Per lui, nella rassegna continentale disputata da sotto età, una media di 18.3 minuti nei quali ha messo a referto 4.7 punti (64% 2FG) e 4.1 rimbalzi a partita. Ai nostri microfoni Pablo ha parlato di questa esperienza, dei suoi sogni, dell’aspetto extra-campo e molto altro.

Ciao Pablo! Come hai iniziato a giocare a pallacanestro? Hai qualche ricordo in particolare?

Ciao, innanzitutto grazie per l’opportunità. Io ho iniziato a 5 anni a giocare a basket e mi rimarrà sempre impresso che, siccome l’età minima era di 6 anni, quando mio padre ha comunicato al telefono dell’allenatore la mia età lui non voleva accettare perché ero troppo piccolo. Allora mio padre mi ha portato comunque alla palestra di Ventoso e, quando l’allenatore (Salvatore Raele) mi ha visto, mi ha subito inserito in squadra. Infatti la mia stazza era comunque superiore ai ragazzi di un anno più grandi.
Negli anni successivi, rimasto nella società di Scandiano, mi sono allenato sempre con quelli di un anno in più.

È stata un’estate all’insegna della maglia Azzurra, prima il Torneo dell’Amicizia U15 a Heraklion e poi l’Europeo U16 a Skopje. Hai qualche aneddoto a riguardo?

Si esatto, è stato il primo assaggio di quella che spero diventerà un’abitudine. Sicuramente sono stato in contatto con ragazzi che saranno futuri giocatori di altissimo livello, e questo può essere solo un piacere. Le prime esperienze non si dimenticano mai e non avrei mai potuto immaginare un inizio migliore. Alla fine giocare e fare esperienze sono le cose più importanti al momento, ed io ho avuto la possibilità di confrontarmi con giovani ragazzi dal futuro brillante.
In nazionale sono successe un sacco di cose, ma sicuramente racconterei quello che é successo al raduno U16. Infatti c’è stato un momento nel quale mi sentivo molto giù di morale, un po’ anche perché ero “nuovo” e non conoscevo nessuno; poi ho ricevuto appoggio da alcune persone strette oltre ad un bellissimo messaggio di mia mamma, che mi spiegava di divertirmi e che poi in campo sarebbero successe le cose. Questo mi ha dato forza e, oltre che per me, lo facevo per tutti coloro che mi stavano sostenendo. É stato molto bello riuscire uscire da quel brutto momento e tornare a divertirmi come sempre.

Hai qualche sogno nel cassetto legato al basket? Hai un giocatore a cui ti ispiri in particolare?

Sì, il mio sogno è quello di giocare in NBA, ma in generale sto imparando a godermi il cammino verso la meta, infatti adesso penso solo a migliorarmi il più possibile e poi prenderò quel che verrà. Finché mi divertirò giocando a basket non mi imporrò dei limiti. Per quanto riguarda il giocatore a cui mi ispiro, io cerco sempre di prendere il meglio di ognuno: mi piace giocare pensando di essere “libero di fare quello che voglio”, cioè vorrei poter fare di tutto su un campo da basket. Per questo più che ad un giocatore mi ispiro ad una mentalità, che è quella di non imporsi dei limiti, perché con l’allenamento si può arrivare ovunque.

Giochi a Reggio Emilia fin da piccolo. Raccontaci com’è l’ambiente e se pensi che in futuro un’esperienza lontano da casa possa aiutare la tua crescita sia dentro che fuori dal campo.

A Reggio Emilia mi trovo molto bene, non ho nulla da recriminare, dallo staff all’ambiente, è tutto molto curato. Sicuramente un’esperienza lontano da casa mi aiuterebbe a crescere ma, personalmente, almeno all’inizio non mi troverei a mio agio a prescindere dal posto: infatti mi affeziono molto e una volta ambientato è per me difficile cambiare. A Reggio Emilia sono riuscito ad ambientarmi molto velocemente, non ho avuto problemi particolari.

Quanto è importante secondo te al giorno d’oggi l’aspetto extra-campo: avere una corretta alimentazione, lavorare in palestra e sulla propria salute mentale?


Di sicuro é la parte più difficile, sia da comprendere che da applicare: si potrebbe pensare che per migliorare a giocare a basket basti giocare a basket, erroneamente, perché qualsiasi cosa si faccia fuori dal campo può aiutare in campo, e viceversa. Perché anche avere una certa attitudine in momenti di difficoltà in campo aiuta nella vita. Per arrivare ai massimi livelli bisogna sempre puntare alla perfezione, che é irraggiungibile, ma l’obiettivo deve essere quello perché, a parità di capacità in campo, vince chi ha avuto un comportamento migliore fuori dal campo, che sia in sala pesi o a casa propria.
Il discorso sulla salute mentale invece è più profondo: essa è determinata da moltissimi fattori e spesso si tratta di sentimenti. Questi vanno controllati e soprattutto conosciuti; è facile fare allenamento quando si sta bene ed è più complicato quando qualcosa non va. Per questo bisogna sempre cercare di controllare i sentimenti e le emozioni, cercare di fare andare tutto bene dentro di sé. Penso che perciò sia fondamentale avere delle passioni anche fuori dal campo, per esempio a me piace scrivere e fare anche altro, per cercare sia di staccare la testa che di cercare delle soddisfazioni “extra”. Quando magari la giornata ti dice “no” in campo, ti si possono aprire le porte per altre strade; quando invece hai solo la pallacanestro, è difficile riprendersi dopo che qualcosa va storto. Ciò accade perché non hai un posto dove rifugiarti momentaneamente e dal quale uscire più forte.
Se posso dare un consiglio, sarebbe quello di cercare una passione fuori dal campo che stimoli e metta alla prova.
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